Personaggi Laertini

Prof Francesco  BIANCOFIORE Archeologo

Quattro tombe, di cui tre ipogeiche ed una a fossa, restituirono una documentazione che la ricchezza degli elementi culturali ci ha permesso di parlare di una vera e propria civiltà. Scoperta fatta dal Prof. Francesco Biancofiore.


Ipogeo a scavo completato

Prof. Francesco Biancofiore

Nella seconda metà degli anni Sessanta, a Laterza, è stata individuata e scavata da Francesco Biancofiore una necropoli a grotticella artificiale. Le sepolture di tipo collettivo (nella n. 3 erano deposti più di 100 individui), contengono materiali inquadrabili nell'ambito dell'antica Età del Bronzo, con evidenti parentele con la facies culturale eneolitica di Andria. Oltre alle tombe collettive sono state rinvenute inumazioni singole, a fossa e in cista, e sepolture in grotta.
La civiltà eneolitica di Laterza è una cultura eneolitica sviluppatasi in alcune regioni del sud e centro Italia nel III millennio a.C. (2950-2350 a.C. circa). Come la maggior parte delle culture dell'età tardo-preistorica è riconoscibile essenzialmente per la forma e la decorazione delle ceramiche rinvenute nei diversi siti archeologici. 

"La necropoli eneolitica di Laterza:
origini e sviluppo dei gruppi "protoappenninici"
in Apulia", 1966-1967
Per lungo tempo questa cultura era documentata solo in pochi siti, essenzialmente funerari. Recenti ricerche e scavi di grande estensione, in particolare nella zona di Roma e nel nord della Campania, hanno consentito di ampliare le conoscenze sugli abitati.

Prof. Francesco Biancofiore durante gli scavi
L'influenza della cultura di Laterza nelle aree più lontane dal suo territorio originario è attestata dalle influenze sulla decorazione e la forma delle ceramiche. Nella necropoli di Selvicciola, sito del nord del Lazio attribuito alla cultura del Rinaldone, è stato scoperto un boccale di tipo Laterza. Decorazioni del tipo Laterza sono presenti anche nelle ceramiche di altre località dell'Italia centrale, ad esempio a Maddalena di Muccia nelle Marche. A Osteria del Curato-via Cinquefrondi, alla periferia di Roma, è stata scoperta una tomba contenente ceramiche realizzate in tre stili diversi, corrispondenti alle culture del Gaudo, di Rinaldone e di Laterza.
Per tutti i suoi studi e alti meriti professionali, al Professor Biancofiore, l'Amministrazione Comunale volle a lui dedicare una Targa marmorea affissa all'interno della Casa Comunale.

Targa affissa nella Scalinata del Comune dedicata al Professore


UN RICORDO
LATERZA
Recupero di una civiltà attraverso reperti archeologici
a cura di Raffaella BONGERMINO

Il 15 giugno 1998, il Comune di Laterza scopriva una targa in memoria del prof. Franco Biancofiore, illustre paletnologo, artefice della “Civiltà eneolitica di Laterza”.
Per l’occasione, a margine di un convegno di studi, veniva presentato il volume della Bongermino (con un pensiero di Donato Coppola) che raccoglieva in una attenta lettura storica e archeologica la figura di Franco Biancofiore e soprattutto gli scavi effettuati dallo studioso nel periodo 1965/70 in Contrada Candile, culminati nella straordinaria scoperta delle grotte simbolo della civiltà eneolitica laertina, con particolare attenzione alla n. 3, la più ricca di materiali e testimonianze.
È stato l’ultimo omaggio reso a Franco Biancofiore; da allora, tanto tempo è passato e tutto sembra essere caduto nel dimenticatoio.

Pietro Romano, coordinatore didattico A.B.M.C. Laterza
29 settembre 2017, in ricordo di Franco Biancofiore


Manifesto evento

Dott. Luca Morelli

Uno dei primi farmacisti di Laterza dal 13 ottobre 1933 fino ad agosto 1940, quando vendette la farmacia al dr.Pacifico Caputi al quale si lega un aneddoto "famoso" a Laterza...
Eccolo...
"Un certo "Puppin", ogni volta che arrivava vicino al farmacista seduto al fresco faceva una scoreggia, il farmacista incredulo le prime volte non sapeva come rispondere, pensava fosse successo in maniera casuale.
Ma il giorno dopo successe la stessa cosa, e cosi' il giorno successivo ...
A questo punto Don Pacifich si preparò, appena mba Pepp si avvicinò e fece nuovamente la scoreggia, il faramcista esclamo':
Purgati porco!!!
mba Pepp con la sua flemma si girò e rispose: 
"fin a quann u cul rend mann a f ngul a purij e ci i venn"
"Fino a che il mio culo rende mando a fare in culo alla purga e a chi la vende..."
Il Dott. Morelli dinnanzi alla sua Farmacia

(dati tratti da un vecchio post di Luca Morelli)


Angelo Antonio D'alessandro

Il più prestigioso ceramista dell'età barocca, nacque a Laterza nel 1642 da Nicol'Antonio da Santeramo e da Cristina Festa. 



Fu un prelato, come risulta dall'elenco del clero laertino del 1676. Lasciò presto Laterza per studiare in un seminario della capitale e vi tornò sacerdote, succedendo, nel 1667, alla morte del canonico Don Leonardo Antonio Brizio, alla guida della chiesa di San Lorenzo Martire. 
D'Alessandro morì nel 1717 all'età di 75 anni. Al periodo che va dal 1670 al 1690 risalgono le esecuzione di piatti con tese decorate a tralci e margherite in monocromia turchina, numerosi e pregevoli capi con stemmi gentilizi conservati in musei francesi e londinesi, ora anche a Laterza.


Presentatolo con scimmia
che rapisce un infante circondati da putti - 1693


Al periodo 1689-1693 risalgono le serie dei presentatoi su piede.  Si tratta di importanti commissioni dal momento che è riportato lo stemma del committente. In questi capi ricorrono motivi ornamentali 
quali alberi ritorti e fittamente tratteggiati, elementi vegetali astrattamente calligrafici, figure dai volti gonfi e chiome curate, soggetti insoliti come nel famoso vassoio con il "Mangiamaccheroni" dalle caratteristiche malefiche.

Il Mangiamaccheroni

 
In quest'ultimo pezzo è evidente l'originalità creativa del maestro, infatti, il soggetto del vassoio "Mangiamaccheroni" è liberamente ispirato al noto dipinto di Annibale Carracci, il "Mangiafagioli", 
ma il D'Alessandro reinterpreta il personaggio con richiami allegorici e grotteschi, raffigurando una scena a tratti inquietante. 
Il contadino del Carrocci viene sostituito da un personaggio in costume del Cinquecento raffigurato in una scena resa ancora più suggestiva dall'utilizzo del colore turchino. Attualmente quest'opera è conservata nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. 

Targa devozionale

Al periodo successivo al 1690,  periodo poco significativo nella produzione del maestro, risalgono manufatti quali coppe espanse e mattonelle devozionali.

Caccia all'elefante


Fra le opere significative del D'Alessandro ricordiamo ancora i due piatti raffiguranti la "Caccia all'elefante", un piatto raffigurante "San Giorgio che combatte il drago" (sulla tesa risalta il famoso giglio di Laterza), un piatto con "Diana cacciatrice" attualmente conservato presso il Victoria and Albert Museum di Londra.

Michele De Vietro - U Furnascijl...

".... . L’ultima famiglia di figuli laertini, quella dei De Vietro, fu attiva fino al secondo dopoguerra...."


Michele De Vietro al Tornio
Nel nostro secolo la ceramica laertina ha continuato la sua sto­ria grazie al faenzaro Michele De Vietro, nato a Laterza il 1919 e morto il 1978, discendente di faenzari e vasari di Laterza già dal 1700. Con lui lavorava l’allora giova­ne Michele Casarola che lo aiu­tava nel suo laboratorio e che anco­ra oggi continua la sua.
La produzione del De Vietro negli anni 40-50 si limitava alla lavora­zione di oggetti di uso comune nelle famiglie contadine (Cuch­m, Piattr, Caps, ecc.) lascian­do loro la fattura grezza o al mas­simo lucidata o colorata con tinte di terra o di metallo.

Michele De Vietro e i suoi aiutanti davanti l'antica Fornace
I suoi oggetti finemente lavora­ti al tornio, si avvalevano di creta da lui stesso scelta e selezionata in collaborazione con l’aiutante Casarola. Essi, dopo aver ricercato l’argilla, la pestavano per poi raffinarla tra le mani; solo quando il tutto era soddisfacente, passavano alla lavorazione vera e propria. Nel periodo successivo, fra gli anni 60-70, alcuni artisti di Laterza, tra i quali Giuseppe De Vie­tro, figlio di Michele, Nunzio Cafaro, Vincenzo Passarelli e Domenico Pugliese, decisero di decorare quegli ogget­ti che il De Vietro forgiava.

Irene Carucci, A Vammr

Fino agli anni ’70, il parto avveniva regolarmente in casa con l’aiuto di altre donne sposate già madri, la madre della partoriente, la vicina di casa e sopratutto "A Vammr" (la levatrice). A Laterza A Vammr era Irene Carucci che ha fatto nascere un'intera generazione. Il termine "Vammr" deriva da “mammana” che a sua volta deriva da mamma, perché come una seconda mamma dava alla luce una creatura. A Vammr faceva i suoi interventi utilizzando rimedi naturali, come l’applicazione di panni caldi, per alleviare il dolore. Per i dolori uterini consigliava di bere la camomilla con delle foglie d’alloro e consigliava di fare inalazioni calde con acqua di malva. 
Con le sue mani piccole riusciva con manipolazione a posizionare il bambino prima del parto e permetteva al bambino di uscire; fatta preparare l’acqua bollita, a Vammr puliva la mamma e il figlio e disinfettava con acqua calda. Nei primi giorni faceva i bagnetti al piccolo, gli medicava il cordone ombelicale e rifaceva "A Mbass" la fasciatura. Infatti i bimbi dopo nati - per evitare che crescessero con gambe e colonna vertebrale storta - deformità dovute alla malnutrizione - venivano avvolti con “A mbass”, una striscia lunga di tela, che impediva al neonato ogni movimento. Per tutti questi compiti alla Vammara si portava il massimo rispetto e all'interno della comunità aveva un ruolo di primo'ordine, forse piu' del medico o del sacerdote. Si narra che A Vammr esortava il nascituro a venir fuori recitando la forma magica: - 
Ijss ijss cosa ftend 
ti cumann u Dij onnipotend.
Vijn for e nun tardann, 
ca a mamt non ha f dann”. 
(esci esci cosa fetente,
te lo ordina Dio onnipotente. 
Vieni fuori e non far tardi, 
che a tua mamma non farai danni)
Per le sue prestazioni spesso non chiedeva nulla in cambio, anche se le famiglie stesse la ripagavano con qualche bene di consumo di propria produzione (vino, olio, formaggi, gallina). 
Man mano la figura della Vammara è scomparsa lasciando il posto all’ostetrica condotta e al ginecologo, con parto assistito all’ospedale.
Irene Carucci (a Vammr)
Foto gentilmente concessa
da sua Nuora Teresa Ludovico

De Mauro Vincenzo - Ultracentenario

Nato a Laterza il 17 Luglio 1915, 1° Reggimento Bersaglieri Napoli Soldato di leva 1935-1937 Richiamato il 1° Giugno 1940 Collocato in Congedo il 22 Giugno 1945
Vincenzo De Mauro durante una delle ultime manifestazioni del 4 Novembre
Vincenzo prestò servizio di leva negli anni 1935-1937 ed il primo giugno 1940 fu richia­mato per partecipare alle operazioni belliche contro la Francia. Il CAR lo fece in un paese della provincia di Cuneo. Pochi mesi soltanto di guerra; seguì presto la ritirata per le tristi condizioni climatiche e per la vittoria dell'e­sercito nemico.
Il Reggimento Bersaglieri fece altre istru­zioni a Ferrara e poi si diresse a Napoli, per raggiungere in seguito Bari da dove s'im­barcò per l'Albania, il 4 novembre 1940. A Durazzo Vincenzo sostò alcuni giorni ed il 13 novembre fu al fronte in montagna ad Ersekè. L'offensiva greca fu così spietata da costrin­gere i nostri alla ritirata. Si diressero verso un'altra postazione il 18 novembre e nel per­correre una vallata subirono una micidiale scarica di mortai, che causò molti morti e una brutta ferita alla coscia destra del moschettie­re-bersagliere Vincenzo De Mauro. 

Vincenzo De Mauro con la sua inseparabile mula

La ferita grondava molto sangue. Il primo soccorso Vincenzo lo ricevette dal più vicino ospedale da campo dove cercarono di tampo­nare quel rigagnolo rosso; lo avevano condot­to 4 barellieri. Gli andarono incontro un uffi­ciale e due infermieri. Uno di costoro era Ni­cola Sciscio, un paesano che lo riconobbe solidale gli offrì la borraccia perché sorseggias­se un po' di liquore e riprendesse vigore. Era corso in aiuto Leggiadro Lorenzo, altro infer­miere di Laterza. Costui si offrì , insieme a Nicola, come barelliere per trasportare il loro paesano ferito in un ospedale più grande e più attrezzato.
L'infermiere Lorenzo, inconsapevolmen­te, sfuggì alla carneficina della sua postazio­ne sanitaria per via delle incursioni delle can­nonate dei greci. E quando Vincenzo De Mauro e Lorenzo Leggiadro, cessata la guer­ra, furono congedati e si incontrarono in pae­se, quest'ultimo disse all'amico: "Grazie alla tua ferita io sono ancora in vita". 
Il Nostro fu trasportato in aereo all'ospe­dale di Tirana ove stette 40 giorni in cura. In seguito fu imbarcato sulla più grande nave ospedaliere, Lagradisca, con approdo a Bari, il 19 dicembre 1940. Con il treno ospedaliero il giorno seguente fu condotto a Livorno presso l'ospedale militare Costanzo Ciano. Per raggiungere Volterra fu fatto salire su di un treno con cingoli, munito di due locomoti­ve; una anteriore per trainare, l'altra posterio­re per spingere, consentendo al treno l'arram­picata in montagna. 
Trascorsero alcuni mesi di convalescenza e, 1'8 aprile 1941, Vincenzo fu assegnato al Deposito 1° Reggimento Bersaglieri in Na­poli. 
E venne l'armistizio. Seguirono giorni di sbandamento per i soldati, privi di comandi superiori. Ognuno di essi fu preso dal deside­rio di vedere la propria famiglia e sentire il calore della propria casa. Tutti i reduci abban­donarono la postazione di Sant'Angelo e si avviarono sulla strada del ritorno, incuranti dei pericoli a cui andavano incontro per la presenza dei tedeschi in ritirata. 
Bisognava disfarsi della divisa militare. Vincenzo era ben voluto dai cittadini di Sant'Angelo dei Lombardi che gli fecero in­dossare una divisa collegiale, appartenuta ad un loro figliolo, studente liceale. Con quell'a­bito, suo padre, lo scambiò con un soldato te­desco; gli girò le spalle, quando lo intravide mentre le pecore del padrone, "don" Alberto Dell'Aquila, pascolavano nel campo della masseria delle Sarole. 
Era stato rifiutato. Così era sembrato a Vincenzo che aveva sostenuto disagi e patito sofferenze. Aveva dormito al riparo di muretti ed in baracche sgangherate. Si era nutrito di quel che la campagna autunnale gli aveva offerto: aveva percorso a piedi oltre 500 chilo­metri. Era esausto e demoralizzato, anche perché l'ultimo tratto di 100 chilometri lo aveva percorso da solo. A Bari si era staccato dai commilitoni salentini che continuarono il cammino verso Lecce. 
Il 6 ottobre 1943, Vincenzo De Mauro, si presentò al Deposito 140° e fu assunto in for­za al 13° Battaglione. In Brindisi il 7 gennaio 1944 fu inserito nel 350° Battaglione. Segui­rono licenze ed assunzioni fino al Congedo illimitato del 23 novembre 1945. 
E' stato uno degli ultimi reduci di guerra e ultracentenario di Laterza.


Mba Vcijnz in piazza
con il suo proverbiale umorismo, saluta tutti
(Foto Tonino Cillo)
da C'ero Anch'io di Raffaella Bongermino

Raffaele D'Ambrosio ...l'ultimo spazzino


«Fischietto d’oro», così lo chiamavano, se n’è andato. Se l’è portato via la stessa malattia che, un po’ di anni fa, gli aveva strappato, anzitempo, la scopa di mano. Faceva il netturbino Raffaele D’Ambrosio. Minuto, distinto, trascinava il suo carico quotidiano con leggerezza unica. Quasi invidiabile. Guidava a mano il suo veicolo a due ruote, appoggiandolo qua e là, sulla strada non ancora esasperatamente regolamentata da sensi unici e divieti. Ancora a misura d’uomo. Faceva il porta a porta, annunciandosi col suo fischietto limpido, discreto.
Raccoglieva rifiuti, Raffaele. Ma faceva altro. Scopa e pala sempre pronte, raccontava il giorno tra una chiacchierata e un commento. Uno sguardo al cielo e un altro al suo carretto con contenitore zincato itinerante, Raffaele D’Ambrosio raccoglieva e scambiava umori. Con l’amico calzolaio, interista come lui, o con il barbiere di fronte: botteghe con l’uscio spalancato sulla strada. Oppure con la signora in ritardo nella consegna giornaliera e, in simultanea, con il passante sul marciapiede più lontano, intento a salutarlo. Parlava, parlava, Raffaele. In italiano perfetto, cadenzato, a tratti, quando ci voleva, spruzzato di vernacolo. A volte in sosta prolungata su sillabe ribelli. Parlava del suo tempo e di calcio. Coniugato in nerazzurro, naturalmente. Con l’ultima partita e la successiva racchiuse tra un sacchetto depositato e un trillo-promemoria: un attimo, recuperi compresi.
Il morbo s’annunciò nelle mani, con fremiti inequivocabili. Poi prese il sopravvento, e Raffaele lasciò scopa e strada, carretto e fischietto. Smise la tuta blu. Ma ha continuato a lungo a raccontare il giorno a quanti, passando dalle sue parti, condividevano nerazzurro e quotidianità: lo scudetto sempre lontano o la gioia per il nipote campione di pizza acrobatica in terra di Romagna. Arrivarono giornate sempre più lunghe e sfibranti e a lui, affacciato alla finestra al piano rialzato di via Cesare Battisti, amorevolmente seguito dalle due figlie e dalla moglie Lucia, non rimaneva che aspettare. Raffaele D’Ambrosio, netturbino, se n’è andato alla vigilia della Befana, a 69 anni. A cavallo di una scopa.
(Francesco Romano)
(Archivio / La Gazzetta del Mezzogiorno, 6 gennaio 2005)


Maria e la sua Focaccia - PER TUTTI "MARIA A CASCETT"

La focaccia di Maria negli anni 70/80/90 ha rappresentato l'odore, il sapore, la vera colazione di moltissimi studenti e lavoratori laertini. E' stata la focaccia più rinomata della provincia. 
Aveva un segreto Maria, che non ha detto a nessuno, infatti mai nessuna altra focaccia ha avvicinato il suo sapore.
Maria all'opera tra le sue Focacce nel suo negosio
Maria durante una Sagra della Focaccia a Laterza
(Foto gentilmente concesse dalle Figlie Rosetta e Maria Casamassima )

Michele “Papparjidd”, l'ultimo barbiere di Laterza

Michele Perrucci per tutti Papparijdd ha fatto il barbiere per una vita. La sua attività apri' al pubblico nel 1945. Nato nel 1923, ha iniziato a fare "barbe" a tre anni in un'altra barberia che era nei locali dove c'è il Bar Jolly. Li ha lavorato per venti anni, poi, nel 1945 ha aperto la sua attività - in Piazza Plebiscito - di fronte al Palazzo Marchesale. E' rimasta intatta sin dal 1945. La sua barberia è divenuta un museo. Michele lo ricordiamo sempre in bici per il Paese, con quella sua manomazione al piede che portava con dignità e come segno della sua vita. Ha aperto la saracinesca del suo negozio tutte le mattine e tutti i pomeriggi, finchè ha avuto la forza per farlo.

Michele Perrucci e la sua barberia


Lucia la Parrucchiera più longeva ...

Esempio di Passione e professionalità che hanno portato Lucia "a parrucchijr " a guidare il suo "Salone di Bellezza" ... per più di cinquant'anni. 
Le Griffe ... by Lucia ha attraversato le mode passando dalle pettinature dagli anni sessanta ai ricci alla moda di Brigitte Bardot, fino ai tagli sfumati di oggi.
Le ragazze "inbigodinate" sotto i caschi giganteschi intente a leggere i giornali di gossip, le acconciature per le spose, le mode del momento e le signore che il sabato
"sciavn a fars a cp da Lucij" hanno segnato momenti di vita vissuta per il Paese. 
E' il salone di bellezza per Signore piu' longevo e per questo Lucia è un istituzione nel suo campo a Laterza...

Lucia Iavernaro


Francesco Saverio Galli ... Carbonaro...

II 9 giugno 1815 Re Ferdinando ritornò a Napoli e la reazione divampò tremenda fin nei più piccoli paesi;
La Carboneria, la Giovane Italia con le loro vendite invasero le nostre Regioni;
molti condividevano i nuovi ideali, ma se ne astenevano dal manifestarli pubblicamente per timore che il Borbone con la sua lunga mano delle spie e del Clero, nella quasi totalità a lui devoto, soffocasse nel carcere o nel sangue le loro vite ed il patriottismo.
A Laterza fu Francesco Saverio Galli Avvocato, Carbonaro militante, tanto che, tenuto d'occhio da qualche pezzo grosso laertino venduto al Borbone, fu designato ad esser soppresso.
Di notte dei congiurati cercarono di ucciderlo nella sua stessa abitazione, ma avvisato a tempo da un suo fedele, scampò miracolosamente alla morte, nascondendosi nei molti nascondigli della cantina sottostante al suo palazzo.
Riunione di Carboneria
[...] egli godeva tanto la fiducia di Murat, che, quando dovè questi fuggire per il ritorno del Borbone, affidò al padre del Galli tutta la moneta per le paghe dei soldati di queste Regioni e furono sepolte in casse non si sa dove se nella casa o se in altro immobile a lui appartenente, e del nascondiglio portò con sé il segreto nella tomba, essendo di poi morto, e vane sono state le ricerche dei suoi discendenti e di altri interessati fin'ora.


ANTONIO MISANO - L'Orefice

Nato a Laterza il 15/3/1924, deceduto il 15/3/83
In piazza Vittorio Emanuele, intorno agli anni trenta, sorse l'oreficeria di don Peppe Misano, come lo chiamavano i clienti. A Bari frequentò per tre anni la scuola per orafi e orologiai dove conseguì il diploma. Oltre i laertini anche i ginosini e i castellanetani si recavano da lui per gli acquisti e le riparazioni di orologi e oggetti d'oro. Le richieste aumentavano sempre più e si affacciò la necessità di richiedere operai che lo aiutassero nel suo laboratorio.
Don Peppe si servì della pubblicità cinematografica e della Gazzetta, gli unici mezzi di informazione a quei tempi. È in seguito a questo invito che arrivarono a Laterza, da Canosa, i fratelli Vincenzo e Sabino Pignatelli, i quali appresero da don Peppe le varie tecniche di laboratorio e per un breve periodo di tempo collaborarono con lui.
Ma l'allievo diligente e costante di don Peppe fu suo fratello Antonio che divenne suo socio e per un quarantennio, con massima perfezione, riparò orologi da taschino e da polso per gli uomini e le pendole per le camere da letto per le donne. 
Antonio non interrompeva il suo lavoro neppure all'ora di pranzo; Antonio restituiva l'oggetto riparato dopo averlo tenuto a lungo in osservazione e si faceva pagare soltanto quando il cliente ne aveva constatato il perfetto funzionamento. 
Quando i clienti e i parenti si rivolgevano a lui per le piccole e semplici riparazioni, a lavoro ultimato, gli chiedevano: 
«Quand ijè u fastidij?» (Quanto devo?).
Antonio rispondeva: «Pjinz a st bbuen!» (Pensa a stare bene).
Il 15 marzo del 1983, giorno del suo cinquantanovesimo compleanno, Antonio Misano morì d'infarto
davanti alla soglia della sua oreficeria.... 



Antonio Misano (foto da Mestieri Scomparsi)

(da: MESTIERI SCOMPARSI di R. Bongermino)

Raffaele Leogrande "U Nutr"

Raffaele Leogrande da tutti conosciuto come "U Nutr" (il Notaio) è stato sindaco di Laterza negli anni 1963-1966, 1973-1978 e 1991-1992.
In Piazza c'è un palazzo costruito verso la fine degli anni '60, chiamato appunto "U Palazz du Nutr" (Il Palazzo del Notaio) in quanto fu proprio lui a farlo costruire e ad affittare gli appartamenti.


L'allora Sindaco Raffaele Leogrande durante una manifestazione